Il GEP sostituirà il PIL nelle economie mondiali
L’ambiente e la natura non sono mai stati considerati nel calcolo del prodotto interno lordo. Tuttavia, alcuni scienziati ed economisti di Stanford e dell’Accademia cinese delle scienze hanno studiato un valore che ne tiene conto: il Gross Ecosystem Product (GEP).
Il GEP è stato testato anche nella provincia di Qinghai, in Cina, dal team di ricercatori che ha ideato il concetto GEP, guidato da Zhiyun Ouyang, direttore del Centro di ricerca ambientale dell’Accademia delle scienze di Cina. Questo luogo ha una natura meravigliosa e si trova ad oltre 3000 metri sul livello del mare. È chiamato anche “la Torre dell’Acqua dell’Asia”, poiché da lì partono molti dei fiumi che poi trasportano questo prezioso liquido in tutto il territorio.
Grazie al GEP, il PIL si completa e si estende con tutti i beni ambientali, restituendo dignità alla Terra. Il GEP consente ai governi di stabilire strategie senza sottovalutare i compromessi tra le diverse posizioni da assumere per la conservazione delle risorse naturali. Il PIL, infatti, ampiamente utilizzato dai decisori di tutto il mondo, riassume il valore di tutti i beni e servizi acquistati e venduti in un Paese durante un certo periodo.
Il problema è che il PIL non tiene conto di come la natura influisca sull’economia e sul benessere umano. Tale omissione è “critica” e svantaggiosa. È necessario studiare i servizi ecosistemici in diverse aree del globo ed effettuare proposte concrete per la sostenibilità che integrino l’economia con l’ecologia e la società.
Infatti, i prodotti ed i servizi dell’ecosistema sono essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo umano e il Gross Ecosystem Product (GEP) si rivolge a indicatori specifici per misurare il loro valore economico totale. Il GEP indica il valore totale dei beni e servizi ecosistemici forniti al benessere umano in una regione ogni anno e può essere misurato in termini di valore biofisico e valore monetario. Gli ecosistemi che possono essere misurati includono: quelli naturali come foreste, praterie, zone umide, deserti, acque dolci e oceaniche, ma anche sistemi creati dall’uomo che si basano su processi naturali come terreni agricoli, pascoli, allevamenti di acquacoltura, aree verdi urbane.
In Cina, i ricercatori sono stati in grado non solo di mettere gli ecosistemi della Provincia di Qinghai in bilancio, ma anche di mostrare che solo un terzo del valore economico generato dagli ecosistemi della provincia viene fornito ai suoi residenti, mentre il resto viene esportato in altre province della Cina e in altri Paesi del mondo. Ciò fa emergere l’importanza delle interazioni uomo-natura non solo all’interno di un luogo, ma anche nei luoghi vicini e lontani del Pianeta.
Al World Economic Forum (WEF) di Davos è stato presentato lo scorso gennaio un rapporto realizzato in collaborazione PricewaterhouseCoopers (PwC) che indica come la metà del PIL mondiale dipenda dalla natura, mettendo in guardia le imprese sulle loro significative “dipendenze nascoste” dalla natura nella loro catena di approvvigionamento che potrebbe essere molto più a rischio di interrompersi di quanto previsto. Non casualmente, l’annuale “Global Risk Report” del WEF ha evidenziato come il rischio di perdita della biodiversità sia indicato dai 750 esperti e decision makers che hanno contribuito alla sua redazione tra i maggiori rischi che possono verificarsi (4°posto) e tra quelli di maggiore impatto (3°posto) in termini di benessere per l’umanità.
Il deterioramento delle risorse e della biodiversità infatti comporta anche costi di approvvigionamento molto elevati che si traducono in prezzi più alti per prodotti/servizi finali. A ciò si aggiungono i costi delle esternalità (danni ambientali e sanitari), creando così un circolo vizioso che innesca crisi economiche.
La soluzione è generare profitti per creare valore sociale e ambientale, adottando modelli di business sostenibili che misurino e minimizzino l’impatto sul capitale naturale e sociale. Ciò significa prevenire crisi economiche e pandemie come il Covid19, oltre a creare posti di lavoro e ridurre le disuguaglianze.
Come funziona il GEP
Nei casi in cui non esistono prezzi di mercato per i servizi ecosistemici, si utilizza una varietà di tecniche di valutazione non di mercato per generare i prezzi contabili dei servizi ecosistemici. Quando un servizio ecosistemico è un input in un bene o servizio commercializzato (es. impollinazione di colture agricole), possiamo utilizzare il valore del bene commercializzato al netto del valore di input diversi dai servizi ecosistemici (es. lavoro, macchinari, fertilizzanti commerciali , e così via). Possiamo anche utilizzare il valore del prodotto marginale: cioè, l’aumento del valore di mercato dei beni commercializzati generato dall’input del servizio ecosistemico. Esempi del valore marginale includono anche l’impatto dei flussi d’acqua sulla produzione di energia idroelettrica, i servizi di impollinazione che stimolano la produzione di caffè e altre produzioni agricole e l’impatto della regolazione del clima sulla produzione agricola.
I prezzi contabili per altri valori dei servizi ecosistemici possono essere approssimati utilizzando misure di costo evitato o di sostituzione, ad esempio quando gli ecosistemi filtrano i nutrienti, fornendo acqua pulita agli utenti a valle. Il valore di questo servizio può essere calcolato utilizzando il costo (evitato) della rimozione dei nutrienti tramite gli impianti di trattamento delle acque. Tuttavia, tali metodi basati sui costi sono validi solo se soddisfatte determinate condizioni, tra cui il fatto che il metodo di sostituzione sia l’alternativa ad un costo più basso e che le persone sarebbero disposte a pagare il costo della sostituzione per fornire il servizio.
Utilizzando prezzi contabili dei servizi ecosistemici facilmente calcolabili, il GEP fornisce un approccio trattabile per portare i servizi ecosistemici, compresi quelli non commercializzati, nel processo decisionale.
È importante notare che alcuni servizi ecosistemici sono input, in beni e servizi commercializzati, che sono inclusi nel PIL. Ad esempio, il servizio ecosistemico di impollinazione aumenta il valore dei prodotti agricoli. Pertanto, esiste una sovrapposizione tra GEP e PIL e non è possibile semplicemente sommare le due misure. GEP e PIL misurano cose diverse. Il GEP conta il valore degli input dalla natura ma non l’intero valore di tutti i beni e servizi finali in un’economia. Il PIL, invece, include molti beni e servizi finali non conteggiati nel GEP. Tuttavia, alcuni benefici della natura non sono inclusi nei beni e servizi finali misurati in PIL. Data questa distinzione, le due misure insieme forniscono informazioni vitali e complementari per i decisori.
Sia il GEP che il PIL utilizzano misure contabili per stimare il valore di beni e servizi, piuttosto che una misura del benessere economico. Le misure contabili equivalenti al reddito soffrono di problemi noti, come un aumento di valore quando l’offerta diminuisce e la domanda è anelastica; al contrario, il benessere declina necessariamente con una contrazione dell’offerta. Le misure contabili, tuttavia, sono in genere molto più facili da calcolare, non richiedono elasticità di stima e non richiedono dati più estesi (e talvolta inaccessibili) per il calcolo delle misure di benessere.
La “Ricchezza delle Nazioni” è sempre stata misurata dal PIL, tratteggiato da Adam Smith. Questo ha portato ad una società che produce e consuma molto più di quello che ha a disposizione. Ora esiste un altro parametro: il GEP (Gross Ecosystem Product), che ammette la Natura, riconoscendole un valore (anche economico). Estrarre, produrre, vendere e produrre rifiuti: questo modello economico lineare fa aumentare il PIL di una nazione, la sua potenza produttiva e, naturalmente, gli incassi che ne derivano. Eppure questa logica ha portato il pianeta in una situazione di pericoloso squilibrio. Non è possibile avere una crescita infinita in un mondo in cui le risorse sono finite. Bisogna che il nostro modo di produrre e consumare sia adattato ai cicli biofisici della Terra e rispetti il loro equilibrio.
Il fatto che il PIL si occupi principalmente di denaro, ha avuto – nel tempo – i suoi effetti negativi: è ancora il valore più considerato e monitorato dalle Nazioni ma non ha mai tenuto in considerazione il benessere delle persone.
Una delle più belle conferme di questo, arriva dal famoso “Paradosso di Easterline” o paradosso della felicità.
Un concetto molto semplice, introdotto nel 1974 da Easterlin, professore di economia all’Università della California meridionale e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, secondo cui la felicità delle persone dipende poco dalla condizione economica.
Sono tre gli aspetti della felicità che si legano al modello economico:
- hedonic treadmill
La felicità edonica, che viene vista in relazione alla teoria dell’adattamento: hai un bisogno, consumi e soddisfi il bisogno, ma poi ti adatti e hai un nuovo bisogno; - satisfaction treadmill
Il livello di felicità è legato al raggiungimento di obiettivi e alla conseguente soddisfazione, ma gli obiettivi sono sempre più alti e la felicità sempre più lontana; - positional treadmill
Il guadagno di una posizione o un ruolo sociale.
Dunque una cosa è certa: dobbiamo iniziare a ripensare il nostro impatto sul Pianeta. Dobbiamo smettere di credere che sostenibilità sia sinonimo di rinuncia o decrescita. È esattamente il contrario.
Avere un modo di produrre e consumare sostenibile, in armonia con le risorse del Pianeta, ci permette di progredire come specie, essere in salute ed economicamente sani. Altrimenti saremmo solo di passaggio tra le tante ere geologiche.
Autore: VEZUA
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